Con la recentissima Sentenza n. 21960 del 02/09/2019, la Seconda Sezione della Corte di Cassazione torna ad occuparsi dell’improcedibilità del ricorso per carenza di una corretta attestazione di conformità.
Dopo l’intervento delle Sezioni Unite con la pronuncia n. 22438/2018, le argomentazioni oggi proposte dagli Ermellini risultano decisamente puntuali e comunque conformi ai principi precedentemente espressi dalla medesima Corte.
La vicenda attiene alla proposizione di ricorso in Cassazione avvenuta, in realtà, in modo alquanto peculiare.
Parte ricorrente, difatti, provvedeva alla redazione di ricorso cartaceo ma omettendo di sottoscrivere analogicamente il ricorso medesimo; l’atto veniva però – al momento della notificazione via PEC – scansionato e munito di sottoscrizione digitale.
A seguito di detta notificazione, il legale di parte ricorrente preparava il deposito in Corte di Cassazione stampando tutti gli elementi attinenti alla notifica (atto, relata e ricevute) e predisponeva attestazione di conformità ai sensi dei commi 1 bis e 1 ter dell’art. 9 della Legge 53 del 1994, omettendo – anche in questo caso – di sottoscrivere però analogicamente l’attestazione.
Come emerge dalla ricostruzione dei fatti, quindi, vi è innanzitutto un chiaro problema attinente ai requisiti minimi dell’atto giudiziario, essendo il ricorso – formato in originale analogico – privo di sottoscrizione. Nel caso di specie, certamente, potrebbe supplire la sottoscrizione digitale che l’Avvocato aveva apposto all’interno del file scansionato e notificato via PEC ma, in tal caso, almeno l’attestazione di conformità depositata analogicamente avrebbe dovuto essere munita di firma autografa.
In tal senso, quindi, la Suprema Corte ha rilevato: “Il ricorso deve essere dichiarato improcedibile.
Il ricorrente ha infatti depositato copia cartacea di un ricorso originale analogico, privo però di sottoscrizione cartacea, in quanto a sua volta sottoscritto con firma digitale. Inoltre anche l’attestazione di conformità, – relativa però alla sola copia del ricorso notificata a mezzo PEC, alla procura per il presente giudizio ed alla stampa dei messaggi relativi alla notifica del ricorso avvenuta a mezzo PEC, non risulta munita di valida. sottoscrizione cartacea da parte del difensore dei ricorrenti.”
La declaratoria di inammissibilità – come è noto – viene in questi casi pronunciata in virtù del disposto dell’art. 369 c.p.c. che però, a seguito della pronuncia a Sezioni Unite n. 22438/2018, è stato ampiamente rimodellato nella sua portata operativa.
La Seconda Sezione, infatti, sul punto prosegue “Va altresì evidenziato che gli intimati non hanno svolto attività difensiva in questa sede, non potendo inferirsi alcun elemento dalla loro condotta processuale, quanto alla corrispondenza dei documenti prodotti dal ricorrente agli originali ovvero alla loro conformità.
A tal fine deve farsi richiamo al principio secondo cui il deposito in cancelleria, nel termine di venti giorni dall’ultima notifica, di copia analogica del ricorso per cassazione predisposto in originale telematico e notificato a mezzo PEC, senza attestazione di conformità del difensore L. n. 53 del 1994, ex art. 9, commi 1 bis e 1 ter, o con attestazione priva di sottoscrizione autografa, non ne comporta l’improcedibilità ove il controricorrente (anche tardivamente costituitosi) depositi copia analogica del ricorso ritualmente autenticata ovvero non abbia disconosciuto la conformità della copia informale all’originale notificatogli D.Lgs. n. 82 del 2005, ex art. 23, comma 2. Viceversa, ove il destinatario della notificazione a mezzo PEC del ricorso nativo digitale rimanga solo intimato (così come nel caso in cui non tutti i destinatari della notifica depositino controricorso) ovvero disconosca la conformità all’originale della copia analogica non autenticata del ricorso tempestivamente depositata, per evitare di incorrere nella dichiarazione di improcedibilità sarà onere del ricorrente depositare l’asseverazione di conformità all’originale della copia analogica sino all’udienza di discussione o all’adunanza in camera di consiglio.
Nella fattispecie, non avendo gli intimati svolto difese in questa fase, ed in assenza di una seppur tardiva produzione dell’attestazione di conformità dei detti atti sino all’esito dell’udienza di discussione, non. può che pervenirsi alla declaratoria di improcedibilità del ricorso.”
La Suprema Corte, quindi, ribadisce che la declaratoria di inammissibilità debba intendersi quale sanzione del tutto residuale rispetto a vizi dell’atto – o dell’attestazione di conformità – che possono comunque essere oggetto di sanatoria anche tardiva da parte del ricorrente.
A cura di Luca Sileni – Avv.to iscritto all’ordine di Grosseto referente informatico dell’ODA di Grosseto e Segretario del Centro Studi Processo Telematico
Fonte: Sistemiamo l’Italia