Con un recente provvedimento della Sezione Lavoro, il Tribunale di Roma ha avuto modo di occuparsi di una delle più dibattute questioni relative al processo civile telematico, ossia, la nullità della notificazione via PEC.
Con pronuncia del 4 febbraio 2019, il Tribunale de quo, ha respinto l’istanza di concessione della definitiva esecutorietà di un decreto ingiuntivo notificato via PEC. Il ricorso e il decreto de quibus, infatti, erano stati notificati attraverso un messaggio di Posta Elettronica Certificata al quale, però, non era stata – per mero errore materiale – allegata la necessaria relata di notifica sottoscritta digitalmente.
Come sappiamo, ex art. 11 Legge 53 del 1994, “Le notificazioni …………… sono nulle e la nullità è rilevabile d’ufficio, se mancano i requisiti soggettivi ed oggettivi ivi previsti, se non sono osservate le disposizioni di cui agli articoli precedenti e, comunque, se vi è incertezza sulla persona cui è stata consegnata la copia dell’atto o sulla data della notifica”
Orbene, nel caso di specie, non poteva che arrivarsi ad una declaratoria di nullità, stante anche il chiaro dettato normativo appena ricordato, e che prevede espressamente la rilevabilità d’ufficio di vizi come quello in oggetto.
Pronuncia di analogo tenore era stata assunta dal Tribunale di Oristano con ordinanza del 6 giugno 2016, con la quale il Tribunale Sardo aveva ritenuto che non potesse essere accolta la richiesta di esecutorietà di un decreto ingiuntivo notificato a mezzo pec, il quale era stato trasmesso allegando delle mere scansioni di copie cartacee degli atti in possesso del Difensore del ricorrente, e non invece le copie – munite di attestazione di conformità in relata di notifica – estratte dal fascicolo informatico.
Ma come possono queste due pronunce di merito conciliarsi con il chiaro orientamento salvifico espresso negli ultimi anni dalla Corte di Cassazione?
Si cita, per tutte, la recente pronuncia numero 3805 del 16 febbraio 2018 della Sezione Tributaria della Suprema Corte, con la quale gli Ermellini hanno ribadito come (analogamente a quanto già sottolineato con la sentenza n. 7665 del 18 aprile 2016) “anche alle notifiche PEC deve applicarsi il principio, sancito in via generale dall’art. 156 c.p.c, secondo cui la nullità non può essere mai pronunciata se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato; principio che vale anche per le notificazioni, per le quali la nullità non può essere dichiarata tutte le volte che l’atto, malgrado l’irritualità della notificazione, sia venuto a conoscenza del destinatario, statuendo altresì, riguardo alla modalità con la quale l’eccezione di nullità viene sollevata, l’inammissibilità dell’”eccezione con la quale si lamenti un mero vizio procedimentale, “senza prospettare anche le ragioni per le quali l’erronea applicazione della regola processuale abbia comportato, per la parte, una lesione del diritto di difesa o possa comportare altro pregiudizio per la decisione finale della Corte”.
Orbene, la conciliabilità dei due orientamenti giurisprudenziali – in realtà – risiede proprio nel disposto di cui all’art. 156 c.p.c. ultimo comma, per il quale “la nullità non può mai essere pronunciata, se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato”; nel caso di specie – come anche in quello di cui si è occupato il Tribunale di Oristano – lo scopo dell’atto non poteva dirsi raggiunto!
Normalmente, difatti, lo scopo dell’atto può dirsi raggiunto quando la controparte, costituendosi in giudizio e argomentando nel merito della vicenda, dimostra di non aver subito alcuna violazione del proprio diritto di difesa, ma – nel caso di richiesta di apposizione della formula esecutiva – non è necessaria la partecipazione della controparte al procedimento e, proprio in virtù di tale circostanza, la nullità si sarebbe potuta sanare unicamente con la proposizione dell’opposizione al ricorso monitorio; opposizione che – sia nel caso deciso dal Tribunale di Oristano che in quello di cui è stato investito il Tribunale di Roma – non era stata promossa.
Concludendo, quindi, le decisioni di merito sopra citate non si pongono in alcun modo in contrasto con i precedenti – oramai granitici – espressi dalla Corte di Cassazione nell’arco degli ultimi 4 anni, posto che l’applicabilità della sanatoria di cui all’art. 156 c.p.c. ai casi di nullità della notificazione, rimane subordinata al raggiungimento dello scopo dell’atto che, in un procedimento come quello in oggetto, difficilmente potrà verificarsi. Da ciò discende la necessità, per tutti i Difensori che si apprestino a predisporre una notificazione a mezzo PEC, di prestare la massima attenzione in tutte le fasi di “assemblaggio” del messaggio di Posta Elettronica Certificata, sia per quanto riguarda la generazione e la sottoscrizione dei documenti, che per la loro allegazione all’interno della email di notifica. Gli strumenti informatici, infatti, portano con sé notevoli facilitazioni dal punto di vista delle operazioni di ufficio più “materiali” e consentono certamente importanti risparmi sia in termini di tempo che di costi ma, allo stesso tempo, impongono la medesima attenzione che ogni professionista già profondeva nella predisposizione dei propri atti e documenti cartacei.
A cura di Luca Sileni – Avv.to iscritto all’ordine di Grosseto referente informatico dell’ODA di Grosseto e Segretario del Centro Studi Processo Telematico
Fonte: Sistemiamo l’Italia